Ceci n’est pas un blasphème – Festival delle Arti Censurate contro la Censura Religiosa sarà in mostra al PAN di Napoli dal 17 al 30 settembre
“Ceci n’est pas un blasphème” si fa porto d’approdo sicuro per gli artisti e per le loro opere. Nella suggestiva cornice dello storico palazzo Carafa di Roccella, sede del museo di arte contemporanea PAN, Emanuela Marmo, direttrice artistica del progetto, ha organizzato e diretto l’allestimento delle esposizioni, invitando artisti da tutto il mondo a esporre le loro opere. Ad accomunare queste ultime, l’aver ricevuto una o più forme di censura per il loro carattere fondamentalmente eretico e anticlericale. Una parola di troppo in un romanzo o in un monologo, qualche nudo poco convenzionale in un cortometraggio o una semplice rappresentazione poco edificante di questa confessione o di quell’altra. C’è l’imbarazzo della scelta.
Come ci racconta il maestro Antonio Mocciola, autore di uno dei lavori in mostra al Festival:
“La gente viene ostacolata, se non uccisa, in nome di Dio. Il mio progetto di scatti eretici si chiama proprio ‘Le vittime di Dio’, dove racconto sui loro corpi nudi la loro persecuzione. Ma è un Dio al quale non crediamo. Sono vittime degli uomini che hanno usato il nome di Dio per uccidere le opinioni degli altri.”
Che il mondo dell’arte non fosse esattamente un universo di pura espressione critica e protetta dal più formidabile scudo della libertà d’espressione, è già stato evidenziato da Theodor Adorno, che incolpa le innovazioni tutte novecentesche dell’industria culturale. Per il sociologo e musicologo tedesco, la cultura e l’arte vengono ridotti a bene di consumo fine a sé stesso; l’industria culturale ha “disartizzato l’arte”, rendendola priva di quella sua caratteristica di fondamentale critica nei confronti della società e dello status quo.
Ma se l’arte di consumo, quella che arriva al grande pubblico, ha perso questa sua forza critica, una delle ragioni è meno evidente delle altre: se l’artista deve necessariamente confrontarsi con logiche di profitto economico e ideologico, gli resta ben poco margine di decisione su come, quando e se una sua opera riceverà l’attenzione del grande pubblico.
“Ceci n’est pas un blasphème” è la risposta a una delle più frequenti limitazioni che un particolare tipo di produzioni artistiche subisce ancora oggi. Stiamo parlando della censura religiosa, applicata ai lavori di pittori, fotografi, scrittori ecc. qualora questi dipingano, fotografino, scrivano ecc. qualcosa che abbia una carica – anche solo percepita – antireligiosa.
Gli artisti hanno molta censura da raccontarci
Il Festival delle arti censurate sarà, quindi, una safe-zone di respiro internazionale per artisti di ogni calibro.
Per Emanuela Marmo, direttrice artistica del progetto “gli artisti hanno molta censura da raccontare. E spesso anche molta auto-censura, dove si sono visti costretti a cedere alla pressione di chi finanzia i progetti e di chi ne fa da editore”.
Non solo, in occasione del “Ceci n’est pas un blasphème” – Festival delle Arti Censurate “gli artisti stessi – prosegue la direttrice – hanno donato la maggior parte del denaro, anche perché hanno bisogno di sfogare una certa pressione. Il consenso nei confronti di un progetto, quindi di un’idea e di una presa di posizione, in questi contesti, si misura proprio così”.
Evidentemente la necessità del Festival è quella di cambiare la percezione di queste tematiche: “Prendiamo la campagna di crowfunding – continua Emanuala Marmo – Ho avuto due feedback differenti da due diverse categorie. La gente comune, il pubblico, è molto timido nell’affermare una posizione. Si incuriosiscono del progetto, ma non riconoscono come propria la problematica. Non si rendono conto che le limitazioni d’espressione riguardano tutti, non solo gli artisti. Ecco un esempio molto particolare: il diritto a bestemmiare, tecnicamente, rientra nel diritto d’espressione. Molti non hanno la percezione e mi chiedono ‘Ma davvero ancora esistono questi problemi’?”
Indirettamente, l’obiettivo è anche quello di ampliare la platea degli interessati a questo tipo di arte, includendo i credenti nonostante il dialogo con alcune categorie risulti quasi impossibile.
“Senza generalizzare, ma è difficile far comprendere a molti credenti che è possibile fare critica in questo modo. Molti non si rendono conto della gabbia in cui sono rinchiusi e dei problemi che questo crea alle altre persone, che vorrebbero, loro si, essere libere di esprimersi”- sostiene la Marmo.
Durante la mostra, tra le altre cose, verrà presentata una serie di monologhi selezionata dal comico Daniele Fabbri e il progetto fotografico “Vittime di Dio”- a cura di Antonio Mocciola e Carlo Porrini – che porta in mostra i corpi degli uomini e delle donne vittime della persecuzione religiosa, dal 1088 agli ultimi recenti fatti del Medio Oriente.
“Ceci n’est pas un blasphème” sarà, come detto, in mostra al Palazzo delle Arti di Napoli (PAN) dal 17 al 30 settembre, e l’accesso è condizionato al possesso della certificazione vaccinale Green Pass.
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